(ARGOMENTI) – Girando per l’Italia capita di toccare con mano quello che non esito a definire un cambiamento epocale del nostro essere comunità. Penso a una comunità basata sui servizi pubblici e sui diritti elementari diffusi nel territorio. Per decenni abbiamo assistito allo svuotamento dei centri più piccoli causato dalla ricerca di lavoro e dall’attrazione dei nuovi stili di vita urbani. Si trattava comunque di scelte personali sospinte dalla grande mutazione in atto nel paese.
Proprio oggi che la tendenza migratoria verso le grandi città sembra diminuire se non invertirsi, ecco che, in nome dei conti pubblici sempre più eterodiretti dalla finanza privata e di tutte le conseguenze anche ideologiche e mediatiche della questione (quante ignoranti banalità ripetitive, quante parole standard e vuote galleggiano per l’aria sospinte da televisione e giornali), sembra che sia lo Stato a voler accompagnare le persone fuori da casa loro.
Abbiamo sentito parlare del taglio dei “rami secchi” delle ferrovie (ma il treno non è il mezzo ecologico del futuro?) e vediamo stazioni soppresse o senza personale, sempre più inquietanti, abbandonate e magari anche pericolose; lo stesso accade anche nelle periferie e non solo delle città. Abbiamo sentito il nuovo a.d. delle Poste che parla di non garantire più la distribuzione universale della posta (ma che diavolo di mestiere dovrebbe fare un servizio postale pubblico, anche se non si sa per quanto?) e vediamo vari uffici postali malinconicamente chiusi. E questo negli stessi luoghi dove è più difficile trovare un medico e presidi sanitari stabili, scuole. Etc etc.etc.
E’ difficile, sempre più difficile, vivere in posti dove i servizi pubblici fanno fagotto. Servizi pubblici che vanno gestiti in modo corretto e senza sprechi, ma che non devono ridursi ad attività misurabili solo con il criterio del profitto (li paga per definizione in buona misura la collettività anche per garantirli ai più deboli) o peggio non devono essere affidati a privati in regime praticamente di monopolio (quello privato è senz’altro peggio di quello pubblico).
Tra un taglio e l’altro qui si taglia l’Italia.Sembra quasi che questa mutazione genetica del paese e che l’abbandono di tante aree “fuori mano” e quindi costose da raggiungere facciano piacere a chi governa o amministra o a chi gestisce i pubblici servizi con il criterio dei bonus di fine anno al management. Fa tirare un sospiro di sollievo, toglie un pensiero, facilita una legge di stabilità: terra senza abitanti uguale terra che non costa. Così come nelle piazze finanziarie: azienda senza dipendenti uguale azienda perfetta per crescere in borsa.