La notte del 24 dicembre sono andato con degli amici, per il vero più coinvolti di me nel così detto mistero dell’Incarnazione, alla messa di mezzanotte. Alla fine della messa un coretto di parrocchiane addossate a semicerchio intorno a un piccolo organo ha inopinatamente attaccato con Tu scendi dalle stelle.
I presenti si sono progressivamente uniti e a un certo punto cantavano tutti o quasi. Il coretto delle parrocchiane, gratificato, ha aumentato il volume di voce e il suo canto si distingueva bene: intonato ma con momenti un po’ striduli “di testa”, tipici appunto dei coretti di parrocchiane, e con il controcanto di terza che dava, anche se con qualche incertezza, calore all’esecuzione.
“Tu scendi dalle stelle”? “E vieni in una grotta al freddo e al gelo”? E poi: “Quanto ti costò l’averci amato”?
Erano anni che non la sentivo più cantare questa mirabile pastorale della più profonda tradizione (è del 1754), nel tempo di 6/8, meravigliosa musicalmente, stupendamente popolare nel testo. Erano anni che era stata più o meno bandita da programmi televisivi e colonne sonore pubblicitarie a beneficio di Oh happy day, I wish Merry Christmas, Bianchi Natali di tedesca origine o White Christmas.
Nessuno snobismo radical chic, nessun moraleggiante o cattolico-sinistrese recupero delle tradizioni popolari di un tempo andato (e falsamente ritenuto più umano e felice del nostro), sgomitate fuori dal capitalismo consumistico. Mi sono solo, lo dichiaro, semplicemente commosso per un canto così sentito e, perché no, così italiano, che è riemerso all’improvviso forse da ricordi che non ricordavo.
PS – Dichiaro un’altra cosa che difficilmente interesserà a qualcuno, nemmeno all'”interessato”: non sono quasi mai d’accordo con quello che scrive il prof. Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera. Ma il suo ultimo articolo, dedicato al valore fondante per la nostra vita collettiva di tradizioni come quelle del Natale -indipendentemente dalla fede, e all’assurdità di certo politically correct, in base a cui l’occidente tende ad autocensurarsi la manifestazione pubblica di tali tradizioni in nome di un pasticciatissimo rispetto per le religioni e la sensibilità altrui, l’ho condiviso in toto. Si dialoga nel profondo con gli altri solo se non si rinnega sé stessi, o peggio, se non ci si vergogna di sé stessi.