Ho scritto qualche giorno fa della mia emozione per il concerto di Roberto Vecchioni al conservatorio di Milano e a un certo punto ho osservato “Forse (a parte magari un paio di cose un po’ fuori portata inventate da Domenico Modugno) solo Francesco De Gregori è stato ed è altrettanto poeta etc”.
Chi scrive un piccolo blog come questo lo fa anche per tirar fuori liberamente quello che prova e le sensazioni che vuole proporre a qualche amico lettore. E quindi magari anche, come capita nelle chiacchiere tra amici, qualche personalissima e pretenziosetta classifica. Per questo torno sulla parentesi inserita nel mio articolo su Vecchioni: ritorno su Domenico Modugno. Vecchioni e De Gregori, se mai avranno occasione di leggermi, mi perdoneranno se considero qualche sua cosa “un po’ fuori portata”.
Modugno appartiene a una generazione precedente rispetto a quella dei grandi cantautori italiani di alto livello: Vecchioni e De Gregori appunto, e De Andrè, Dalla e tanti altri. La sua è una generazione più popolare e nel suo caso direi anche, come si usava dire qualche anno fa con echi gramsciani, alle volte nazional-popolare. La sua produzione non ha avuto il livello alto pressochè costante degli autori che ho nominato; ha molto oscillato tra cose grandi e cose più mediocri.
Ma appunto “un paio di cose” sono, secondo me, “fuori portata”. Forse le più geniali della musica leggera italiana del secolo scorso e fino a oggi. Una di queste è Vecchio frack. Credo che tutti, anche i più giovani, se la ricordino, anche a prescindere dal revival di Modugno suscitato dalla grande performance di Beppe Fiorello.
Se l’obiettivo più alto che una canzone può raggiungere è quello di realizzare una sintesi tra altezza della creazione di musica e parole e comprensibilità, capacità di parlare a tutti o a tanti, questa canzone di Modugno degli anni ’50 mi pare che lo abbia raggiunto come forse nessun’altra. La canzone perfetta?
La musica è semplice, bellissima, memorizzabile e indimenticabile. La storia è un’invenzione originalissima e straordinaria, senza precedenti e senza possibili imitazioni, struggente, delicata, sorprendente. Le parole sono autenticamente poesia, anch’esse semplici ma quasi surreali, limpide, pure, nitide ma anche visionarie, quasi un sogno. E con il suo modo mirabilmente scandito di cantarle a un certo punto Modugno diceva di un addio “ ad un sogno mai sognato”. Preludio, forse, all’altra cosa “un po’ fuori portata”: “Penso che un sogno così non ritorni mai più…”.