SPIEGAZIONE – Qualche tempo fa ho dedicato tre articoli di questo blog ai temi del fenomeno migratorio. Sempre qualche tempo fa ho pubblicato in inglese sulla rivista Longitude un articolo molto lungo sullo stesso tema. Dato che lo ritengo forse la principale questione dei nostri giorni, ho deciso di pubblicare qui e in italiano quel lungo articolo.
Non ho idea di quanti avranno tempo e voglia di leggerlo (con un’amica l’ho definito un “mappazzone” – per avere un’idea: si tratta di oltre 4000 parole al posto delle solite 300-500). Lo pubblico di nuovo e tradotto perché tento di dare un contributo di riflessione su una questione che appunto giudico principalissima. Spero che venga percepito come un contributo articolato, ragionato, direi anche abbastanza approfondito su un tema che suscita invece visceralità, paure, preconcetti, prese di posizione del tutto ideologiche.
E vi confesso che mi farebbe piacere che i volenterosi-coraggiosi che lo leggono mi e ci diano un loro parere.
- SAPPIAMO DOVE ANDIAMO E COSA RISCHIAMO?
Le migrazioni sono sempre esistite, anzi possiamo dire che l’umanità non è mai stata ferma. Credo che mai si sia trattato di fenomeni indolori: sono sempre costate lacrime e sangue. Lacrime e sangue per le persone che partono e spesso anche per quelle che ricevono.
Le migrazioni sono molto studiate. Se ne distinguono e analizzano i vari tipi: invasioni, colonizzazioni, esodi causati dalla povertà, dalla fame, dalle guerre e dalla paura della violenza e della morte; coloro che scelgono o sono costretti a questi esodi li chiamiamo migranti e quando si fermano in un paese li chiamiamo immigrati. Ne vengono descritte le fenomenologie, la conseguenze economiche, sociali e politiche su chi migra e su chi riceve.
Si cerca di capire, anche se quasi mai la conoscenza e la comprensione dei fenomeni ispira poi i comportamenti della gente e le decisioni politiche. Anzi, come molti studiosi e non hanno più volte segnalato, si tratta di un tema dove le ideologie, le paure, i sistemi mentali e di valori, la visceralità giocano un ruolo assolutamente dominante rispetto al conoscere-comprendere-argomentare e al decidere, o tentare di decidere, di conseguenza.
Personalmente punterei a mantenere un atteggiamento ragionevolmente analitico ma so bene che ciò che penso e che scrivo è anch’esso fortemente influenzato da convinzioni profonde, probabilmente pre-razionali, e scaturisce dal mio sistema istintivo e complessivo di sentire le cose.
Le cose che penso e che vorrei trasmettere con questo articolo sono fondamentalmente tre:
- Il fenomeno migratorio dei nostri giorni dall’Africa e dal Medio Oriente in Europa rappresenta qualcosa di nuovo rispetto ai fenomeni migratori otto-novecenteschi, che per semplicità definisco classici.
- Pochissimi in Europa mettono in evidenza con chiarezza cosa dovremmo aspettarci se gli attuali fenomeni migratori continuassero (e con grande probabilità continueranno) con l’intensità e le caratteristiche odierne.
- Nessuno in Europa, per un intreccio complesso tra valori, spinte contrastanti da parte delle opinioni pubbliche e degli schieramenti politici, situazione internazionale, sa cosa sarebbe bene fare né cosa è realisticamente possibile fare. Ci troviamo quindi di fronte a una sostanziale inazione sul tema.
Qui non intendo discutere di cosa si dovrebbe fare (non sono in grado, faccio parte di quanti ho indicato nel punto 3), né di cosa sia utile, di cosa sia etico, di cosa sia umanitario o di cosa sia egoistico. Dico solo che secondo me tutti, anche e soprattutto i più aperti e solidali, dovrebbero interrogarsi sul tipo di società a cui potrebbe condurci un lungo fenomeno migratorio con le caratteristiche attuali.
Se si ritiene che questo eventuale tipo di società (multiculturale? multidirittopenale? multidirittodifamiglia? etc.) sia cosa buona e giusta, sia migliore del modello egoistico-industriale-capitalistico-laico, diciamo per intenderci occidentale, nel quale viviamo adesso, non c’è problema e possiamo aprire le porte a tutti legalmente, così come ha richiesto recentemente un pool di associazioni umanitarie e di volontariato.
Purchè si sappia di cosa si sta parlando; purchè si sia ben coscienti degli effetti di ciò che si sostiene; purchè si abbia ben chiaro che cosa siamo disposti a mettere sul tavolo del rischio per la nostra civiltà e il nostro modo di vivere in nome dell’accoglienza e della solidarietà.
2. UNA MIGRAZIONE NUOVO TIPO: ELEMENTI DI COLONIZZAZIONE
Abbiamo detto della possibile, e ovviamente sommaria, suddivisione dei fenomeni migratori: invasioni, colonizzazioni, migrazioni di gruppi di individui spinti dalla povertà, quindi con moventi economici, migrazioni di gruppi di individui che fuggono dalla violenza e dalla guerra, nel qual caso si parla di profughi e di richiedenti asilo.
a) – Le colonizzazioni
Tralasciamo le invasioni effettuate da popoli interi in armi che lasciano le loro terre e ne conquistano altre: queste non rivestono interesse per il nostro tema. Soffermiamoci invece sulle differenze tra colonizzazioni e migrazioni.
Molti inglesi, portoghesi, spagnoli sono emigrati in America, e l’hanno colonizzata, a partire dal XVI secolo. Molti inglesi, francesi, belgi, italiani e altri si sono trasferiti nelle colonie africane e asiatiche nel XIX e XX secolo. Prima di tutti questi gli antichi Greci hanno colonizzato ampie zone dell’Italia meridionale. Ci potrebbero essere ancora molti esempi.
In genere i coloni provengono da un popolo più forte o tecnicamente e/o socialmente avanzato rispetto ai popoli colonizzati. Il loro obiettivo è sicuramente anche quello di migliorare il proprio tenore di vita ma i modi non sono certo quelli di cercare ospitalità e lavoro presso i colonizzati, assimilandosi a loro e mutuandone una buona parte dei modelli sociali, istituzionali e produttivi. I coloni occupano territori e sono loro che portano, quasi sempre da posizioni di forza, la loro cultura e i loro sistemi organizzativi nelle nuove terre; sono il più delle volte razzisti e considerano inferiori le popolazioni dei territori occupati. Sono invece i colonizzati che, quando sopravvivono fisicamente, vedono spesso sparire la loro di cultura.
b) – Le migrazioni
All’opposto le migrazioni di gruppi di individui che lasciano la loro terra per sottrarsi alla povertà provengono da popoli e paesi più deboli e meno efficienti dal punto di vista tecnologico, produttivo, istituzionale, sociale e sono dirette verso paesi più forti e più efficienti. La maggiore forza-efficienza dei paesi di destinazione è evidentemente valutata in maniera positiva dai migranti, altrimenti non affronterebbero le fatiche e spesso i drammi dell’emigrazione.
I migranti, divenuti immigrati nel paese dove si fermano, possono subire trattamenti molto diversi e tenere comportamenti molto diversi in relazione a una serie molto complessa e articolata di fattori. Possono:
- Essere accolti in maniere diverse; essere più o meno sfruttati, subire in maggiore o minor misura aggressività, rifiuto, esclusione sociale, razzismo.
- Ottenere o meno delle gratificazioni sociali ed economiche che ne modificano gli atteggiamenti, rendendoli più positivi, nei confronti del paese ospitante.
- Più o meno assimilarsi o mantenersi più o meno fedeli alla loro cultura, che può essere più o meno distante da quella del paese ospitante.
- Influenzare più o meno la cultura e i costumi del paese ospitante.
- Possono creare o meno tensioni con la popolazione autoctona. Possono dare luogo a fenomeni criminali più o meno pericolosi ed eversivi e via dicendo.
Ma non dimentichiamolo: l’obiettivo primo degli immigrati per povertà, guerre, violenze è quello di andare a stare meglio dal punto di vista materiale. Quindi non cercheranno il più delle volte di sostituire il modello più efficiente dove sono approdati con il loro meno efficiente dal quale sono fuggiti, ma cercheranno di sfruttarlo, in modo più o meno corretto e legale, per poter vivere bene o anche per poterlo scalare . Contemporaneamente difenderanno, per le meno le prime generazioni, la loro cultura e le loro tradizioni ma, come detto, senza voler soppiantare quelle che trovano. Dietro le tradizionali emigrazioni da povertà non c’è un progetto espansivo-colonizzante. Direi che è emblematico il caso degli Italiani in Nord America.
c) – Cosa sta accadendo oggi
Oggi sta accadendo qualcosa di diverso e siamo di fronte a una fattispecie migratoria nuova: una migrazione che ha in sé elementi che caratterizzano la colonizzazione.
All’origine c’è qualcosa di molto simile a quanto detto sopra: da paesi economicamente meno efficienti, Africa, Est Europa, Medio Oriente, Asia si muovono gruppi di persone alla ricerca di un lavoro e di un migliore livello di vita.
Ma nel corso degli ultimi anni una serie di vicende politiche, economiche, culturali, religiose molto complesse, sia a livello internazionale che all’interno dei paesi di provenienza, ha cominciato a introdurre elementi nuovi nel fenomeno migratorio
Intanto il fenomeno è aumentato e sta aumentando dal punto di vista quantitativo. Le motivazioni non sono solo economiche. Sono aumentati a dismisura i conflitti in una enorme fascia di territori che comprende il Nord Africa, l’Africa centrale, il Medio Oriente, l’Asia centrale. Milioni di persone cercano di fuggire dalla guerra. L’aumento degli arrivi si somma poi al fattore demografico: l’Europa non fa figli (l’Italia meno di tutti); i nuovi arrivati ne fanno molti di più.
Non c’è bisogno di ricorrere alle spesso discusse ricerche di Robert Putnam sugli effetti indotti sul corpo sociale preesistente da un massiccio aumento degli immigrati; né alle analisi di Paul Collier sulla correlazione che c’è tra la quantità di immigrati e la tipologia del rapporto che si stabilisce tra loro e la popolazione ricevente per cominciare a riflettere seriamente sull’impatto sociale dei grandi, tendenzialmente enormi, numeri delle immigrazioni.
Sfruttando la disperazione di tanta gente si è costituita e si è ingigantita una attività criminale bestiale e lucrosa, in grado ormai di coinvolgere e influenzare istituzioni e forze dell’ordine dei paesi di provenienza o di transito. Questa criminalità non solo sfrutta il fenomeno ma lo alimenta anche forzosamente e coercitivamente.
Le migrazioni quindi non sono più un fenomeno solo spontaneo dettato dalla necessità ma sono diventate un grandissimo business, alimentato da vari poteri, e di conseguenza è e sarà praticamente impossibile utilizzare strategie di accordo e di sostegno con i paesi di provenienza e di transito, perché ci si troverà di fronte alla resistenza sorda e tenace delle autorità e delle burocrazie locali, che ci guadagnano essendo in parecchi casi a libro paga dei trafficanti.
La componente politico-religiosa Islam, nella sua declinazione antagonista alla civiltà occidentale, rischia (in parte lo sta già facendo) di far assumere a una migrazione classica (che è, lo ricordiamo, quella in cui si va via da paesi più poveri o in guerra verso paesi più ricchi e in pace) alcuni caratteri che abbiamo visto sono propri della colonizzazione. E cioè:
- Avversione fino al disprezzo nei confronti dei paesi di arrivo: paesi che invece l’emigrante classico ritiene più desiderabili del proprio, se non altro dal punto di vista puramente economico.
- Rifiuto dei modelli culturali del paese di arrivo, che sono considerati non solo estranei ma contro la volontà di Dio, peccaminosi e blasfemi.
- Desiderio, che in alcune frange è addirittura un progetto, più o meno esplicitato di introdurre i propri modelli, ove necessario e possibile anche con la forza, e di assumere in prospettiva il controllo del territorio.
- Spinta e sostegno da parte di movimenti o Stati radicali verso processi di destabilizzazione dei paesi riceventi.
Non sto parlando quindi dei rischi che allarmano parte dell’opinione pubblica che teme per la propria quotidiana incolumità: dai disordini alla piccola e grande criminalità e via dicendo. Sto parlando della possibilità di un disfacimento dei modelli valoriali, organizzativi, culturali in parte dell’Europa.
Connesso in parte a quanto detto nel punto precedente, in parte ad altre oggi crescenti situazioni di frizione sociale e culturale, sulle quali qui non mi soffermo, assistiamo al fenomeno dell’irrigidirsi dei rapporti tra comunità di immigrati e popolazioni riceventi man mano che si passa alle seconde e terze generazioni. In passato il tempo assimilava; oggi, emerge da molte ricerche, radicalizza e incattivisce.
3. UNO SCENARIO POSSIBILE. COSA POSSIAMO ASPETTARCI
La questione di fondo non è però di tipo militare o rivoluzionario, tipo un’occupazione violenta del potere da parte di chi viene da altri paesi. E’ invece una questione che riguarda delle meccaniche sociali oggettive legate a questo tipo di fenomeni migratori e i possibili processi, anche democratici, di mutazione della nostra società.
Ci terrei a chiarire che, nel tentare di ragionare sull’immigrazione in Europa (e, per quanto mi riguarda, in Italia in particolare) proveniente da paesi martoriati dalla povertà e dalla guerra il razzismo non c’entra. Così come non c’entrano niente posizioni tipo quelle di Oriana Fallaci, che confrontava tra l’altro i livelli di barbarie tra l’Europa cristiana e l’Islam (!!!???); affermazioni continuamente ripubblicate e sempre sperticatamente lodate, non ho mai capito perché stanti la loro banalità e la loro sconcertante superficialità storica. C’entra molto poco anche lo “scontro di civiltà”.
Si tratta invece del tentativo di superare le semplificazioni, l’informazione approssimativa, i riti emotivi.
Dobbiamo affermare risolutamente, contro ogni rozzezza mascalzona, che non si può lasciar morire nessuno in mare; dobbiamo ricordarci sempre di “Quando gli emigranti eravamo noi”.
Ma altrettanto risolutamente, direi doverosamente, dobbiamo renderci conto di quello che sta succedendo e sapere che bisognerà prendere prima o poi delle vere decisioni politiche.
Proviamo a delineare uno scenario possibile e magari anche non proprio improbabile.
La quantità – Innanzi tutto, lo abbiamo detto, il fattore quantitativo. Può potenzialmente alterare gli equilibri che caratterizzano le migrazioni classiche, specie se consideriamo il combinato tra centinaia di migliaia di arrivi all’anno e la demografia.
Le società riceventi – I migranti arrivano in società ansiose, molte in situazioni socio-economiche più difficili. Queste società da un lato reagiscono con rifiuti impauriti e spingono la crescita di partiti squallidi e xenofobi; dall’altro si lasciano andare a complessi di colpa, si ritengono egoiste, addirittura assassine (sarebbero le nostre politiche che causano la morte di tanta gente in mare); si vergognano per far parte della civiltà industriale, capitalistica e iperproduttiva, alla quale invece quasi tutto il mondo aspira.
In molti suoi territori l’Europa non ha molto da offrire ai migranti in termini di possibilità di lavoro e di dignitoso inserimento. Nel caso italiano, non conosco bene quello che accade altrove, quando sbarcano vengono messi in centri di accoglienza talvolta ignobili (ma ci vadano tanti predicatori a gestirli come si deve).
Tutto ciò dà luogo ai fenomeni umani e fatali del punto successivo.
Fenomeni umani e fatali – Come è umano, scappano; come è umano cercano di sopravvivere. Come è oggettivamente fatale, molti si abbrutiscono, delinquono. Come è oggettivamente fatale maturano risentimenti e aggressività; si aggregano sempre più intorno agli elementi forti e antagonisti della loro cultura; vengono attirati da portatori, tanto freddi quanto esaltati, di idee di riscatto, di rivincita, magari benedette da Dio.
E quindi i fenomeni di disadattamento da “sotto-sottoproletariato”, e quindi i fenomeni di collasso sociale che esplodono nelle già provate periferie delle grandi città e non solo. Ne deriveranno fortissimi scompensi nella nostra società, nella quale, non essendo essa in grado di offrire lavoro e dignità alla maggior parte di loro, cresceranno la paura e il rifiuto degli immigrati e la loro esclusione sociale; e l’esclusione sociale farà aumentare i fenomeni fatali che portano alla paura e al rifiuto.
Con in più la vergognosa appendice del razzismo becero, che oggi trova nel web il suo brodo di coltura.
Politica e media inadeguati – Nelle interviste e nei talk show si dicono cose rituali e stupide come: “Quelli che vengono per lavorare sono bene accetti, quelli che vengono per delinquere no, tornino a casa”. Peggio ancora: “Dobbiamo distinguere tra chi ha il diritto di chiedere asilo e i clandestini”, (che sarebbero poi coloro che vengono per “motivi economici”?)”.
Ma siamo seri: quanti vengono con l’intenzione di delinquere? Penso uno su migliaia. Quasi tutti sono normalissime persone che vengono per trovare una vita accettabile. Ma se non la trovano? Tendono a fare quello che abbiamo detto sopra e che farebbe chiunque nelle condizioni in cui la maggior parte degli immigrati in Italia e in molti altri paesi europei oggi si trova. Lo farebbero giapponesi e norvegesi, italiani e portoghesi; così come lo farebbero cristiani, islamici e i confuciani. Il razzismo non c’entra niente.
Una cultura “forte” diventata antagonista – La maggior parte degli immigrati sarà islamica, il che vuol dire che apparterrà in maniera crescente a una cultura/religione che al momento è un tipico pensiero “forte” e che in alcune sue componenti vuole essere integralmente antagonista a quella laico-occidentale.
La maggior parte di questa maggior parte, che pure è fatta di persone che appunto vorrebbero lavorare e vivere normalmente, sono e saranno fortemente condizionate dalle frange radicali, non fosse altro che per paura. Anche questo è assolutamente umano e fatale in grandi gruppi che, peri più svariati motivi, non si inseriscono nelle società dove si stabiliscono.
Meccaniche del radicalismo – Secondo meccaniche tipiche, il radicalismo alimenterà la resistenza del modello sociale basato sulla famiglia e sui clan più che sulla cittadinanza, influirà sui costumi, sui valori, sui comportamenti elettorali. E c’è senz’altro chi usa disperazione e fame dei propri concittadini o correligionari come elemento per destabilizzare l’Europa.
I giovani – Abbiamo detto del fatto che in questa immigrazione con caratteristiche nuove il passare del tempo e delle generazioni sta radicalizzando le contrapposizioni.
Molti giovani, non solo anche ma soprattutto, di seconda e terza generazione preferiranno, come è sociologicamente comprensibile, scelte entusiasmanti di combattimento, di riscatto, di palingenesi identitaria a una vita proba e rassegnata di emarginazione o di lavoro quotidiano e duro, spesso sottopagato. O anche a una vita più borghese, professionale e inserita, sulla quale però qualcuno li lavorerà ai fianchi per farla sentire una scelta da rinnegati.
Questi comportamenti possono svilupparsi anche all’interno delle società occidentali e non solo andando nei territori di guerra.
(Del resto si sa che molte guerre e guerriglie non finiscono mai non solo per lotte di potere a livello locale o internazionale, ma anche perché chi gira per il territorio armato, e spesso anche ben pagato, si gode la sua prepotenza, piace alle donne per la sua forza guerriera etc, non ha la minima voglia di tornare a spezzarsi la schiena sulla terra o a cercare lavoretti nelle grandi città pacificate. In cambio di questa “bella vita” mette anche in conto il rischio di morire).
Il pensiero “debole” – Le nostre società invece sono caratterizzate (in sé la cosa è bella e positiva) dal “pensiero debole”: dubitiamo, esercitiamo la critica, chiediamo scusa agli altri popoli, proponiamo di non festeggiare il Natale per non offendere i bambini di altre religioni, etc etc.
La democrazia può autoestinguersi – La democrazia, come è noto, per sua stessa essenza prevede in sé le modalità e le procedure per la propria autoestinzione: se un parlamento democraticamente eletto decide di abolire libertà e democrazia e/o di introdurre antiche leggi tribali o religiose, può farlo (del resto fascisti e nazisti, al tempo loro, contando sui numeri e mettendo in atto le dovute strategie di pressione e condizionamento, hanno vinto le elezioni). Certamente nel momento in cui una maggioranza parlamentare fosse in grado di farlo, è evidente che le corti costituzionali conterebbero ben poco.
Una possibile maggioranza elettorale? – E se milioni di immigrati (arrivi + demografia) acquisissero i diritti politici (e se non li acquisissero, sarebbe peggio: come dirò più avanti, ci alleveremmo una bomba in seno), in qualche decennio potremmo avere una maggioranza elettorale etnico-religiosa (ad esempio del Regno Unito cominciamo ad avere una casistica significativa: molti immigrati votano, per lo meno a livello locale, per partiti “etnici” ed eleggono sindaci).
Concludendo:
- crescita esponenziale (arrivi + demografia) in un paese europeo di immigrati sempre più arroccati intorno alla loro cultura, più
- influenza/controllo sui costumi e i comportamenti degli immigrati da parte di minoranze radicali e forti e minacciose, più
- aggregazione di appartenenti a gruppi di cultura forte e socialmente esclusi intorno a partiti etcnico-culturali con le relative meccaniche dei comportamenti elettorali, più
- i nostri ordinamenti occidentali che prevedono la possibilità della loro autoabolizione, diciamo del loro suicidio assistito, per vie legali e parlamentari. Uguale:
Tra non moltissimo qualcuno potrà mettere (metterà?) in discussione anche in varie parti d’Europa, e lo farà magari fondandosi su numeri grandi fuori e dentro i parlamenti, le cose per cui nelle nostre società ci si è battuti negli ultimi secoli: la libertà di pensiero e di parola, la separazione tra religione e Stato, la laicità, i diritti dei lavoratori, la parità tra uomo e donna.
4. LA LINEA DI RESISTENZA IRRINUNCIABILE
Ci troviamo quindi di fronte a un fenomeno che potrebbe mettere in discussione una fase storica che l’Europa ha vissuto negli ultimi 300 anni? Cioè da quando sono esplose la rivoluzione scientifica e quella industriale, con tutte le loro conseguenze economiche, culturali, sociali, valoriali che sono andate a costituire la così detta “civiltà occidentale”, buona o cattiva che sia? Forse è un’ipotesi esagerata ma, come ho detto, si tratta di uno scenario non proprio improbabile.
Cosa possano fare realisticamente l’Italia o anche l’Europa è difficile saperlo, e infatti nessuno lo sa. E la situazione è particolarmente pesante per l’Italia, dato che il fenomeno migratorio verso di noi sta significando tragedie e morti senza paragoni rispetto alle migrazioni via terra. Le varie soluzioni tirate fuori a caldo finora non si differenziano molto da quelle propugnate dai movimenti estremisti e xenofobi: tipo blocco navale, distruzione dei barconi, lotta ai criminali schiavisti, accordi con i paesi d’oltre mare etc. Ma non credo siano realistiche. L’unica cosa venuta in mente, e non è facile da far accettare e ingranare, è la suddivisione degli immigrati tra paesi europei.
Il soccorso in mare, non lo si ripeterà mai abbastanza, è sacro (e chi scrive, oltre che un essere umano, è anche un uomo di mare). Respingere i barconi è forse peggio che negare il soccorso in mare ed è politicamente irrealistico (al primo natante che affondasse per “colpa” di una nave italiana, o europea, che succederebbe?). Non dare una accoglienza almeno basilare e minimamente civile è inqualificabile oltre che politicamente insostenibile. Non dare possibilità di mobilità verticale, precludere la cittadinanza, non dare la speranza, condannare allo stato immodificabile di clandestino, significa allevarci una bomba in seno.
Possiamo chiederci, come studiosi e analisti hanno fatto, se esista un diritto universale alla mobilità; o se per contro se esista un diritto per gli Stati, che poi sarebbero quelli più ricchi e privilegiati, di porre restrizioni a questa mobilità.
Nel fare scelte politiche di gestione dell’immigrazione possiamo scegliere, di fronte a vicende di forte impatto sociale ma soprattutto di straziante dolore umano, di far prevalere ad ogni costo lo spirito di accoglienza e di solidarietà, la comprensione e la compassione; oppure di assecondare la paura, il rifiuto che arriva anche fino al razzismo. Possiamo dare retta alle anime belle che ottengono facile gloria mediatica (chi è che non vuol salvare vite umane?) o ai rozzi profeti di sventura che ottengono gloria elettorale. Oppure possiamo cercare di tentare di conciliare tutto con tutto.
Lo scopo di queste pagine non è di dare soluzioni: non sono assolutamente in grado di farlo. E’ solo, lo ripeto, di parlare con chiarezza di un possibile futuro per una parte di Europa in modo da favorire una riflessione seria per prendere decisioni in modo serio e per valutare per bene che cosa del nostro modo di essere e di vivere siamo disposti a giocarci a rischio in nome dell’accoglienza, della solidarietà con i drammi di altri esseri umani e del rispetto per le nostre regole e procedure democratiche.
E magari anche, se si segue la via dell’accoglienza e della solidarietà, sarebbe per chiedersi: accoglienti e solidali fino a quanto?
Intendo dire ad esempio in Italia: accogliere fino a 7 milioni? Fino a 9,5 milioni? Fino a 21 milioni (pensiamo alla combinazione di immigrazione e demografia nel medio periodo)? L’accoglienza e la solidarietà sono valori assoluti o valgono fino a una certa cifra, valgono fino al limite di possibili collassi sociali e poi…e poi cosa?
La linea di resistenza irrinunciabile da (cercare di) mantenere, vincendo ogni tentazione di relativismo culturale, è quella rappresentata, con un’espressione oggi di moda, dai valori non negoziabili.
Cioè la libertà, nelle sue infinite e sfaccettate accezioni, la democrazia politica, la laicità dello Stato, i diritti umani, la territorialità del diritto che quindi è uguale per tutti indipendentemente dalle culture e dalle religioni. (Multiculturalismo dovrebbe significare anche accettazione in un territorio di più ordinamenti giuridici? Norme diverse per gruppi etnico-culturali diversi?).
Si tratta di beni e quindi di valori mi sbilancerei a dire assoluti, ancora certo non totalmente realizzati nel nostro mondo. Ma per conquistarli ci sono voluti secoli di lotte e per difenderli sono necessarie attenzione e vigilanza ancora oggi molto dure. Dobbiamo avere la profonda convinzione che non ne possiamo sacrificare un centimetro in nome del rispetto per le altre culture o religioni e dobbiamo fare in modo che chi viene a vivere da noi li conosca, li accetti e adegui i suoi comportamenti alle nostre costituzioni e alle nostre leggi, pur nel rispetto da parte di ciascuno delle culture, della religione e delle tradizioni di chi arriva da paesi e contesti profondamente diversi dal nostro.
Non possiamo nasconderci che il problema maggiore riguarda le persone che hanno una tradizione religiosa più forte e totalizzante, come l’Islam, una tradizione che oggi rappresenta tra l’altro un fortissimo elemento aggregatore e mobilitatore per popoli che, a causa di vari e complessi motivi sono passati da una posizione secolare di forza espansiva a una debolezza sfruttata e colonizzata. E non dobbiamo nasconderci che il focus di questo problema riguarda le donne, dato che la condizione femminile rappresenta senza dubbio il punto centrale dell’attuale talvolta clamorosa distanza culturale che divide l’Islam dalla civiltà occidentale liberale.
Su questi temi sono indispensabili ben inteso reciproca conoscenza e dialogo. Ma non dobbiamo avere dubbi: non possiamo nemmeno pensare di accettare un modello di società multiculturale dove una donna, quale che sia la sua appartenenza culturale e religiosa, non abbia, non solo a norma di legge ma anche nella vita vera, gli stessi diritti e le stesse possibilità di tutte le altre donne dei paesi europei. E che in tutti i futuri possibili qualsiasi donna, se lo vuole, non possa godersi liberamente il vento nei capelli.