Qualche anno fa la grande crisi finanziaria: per l’avidità speculativa arrivata quasi alla paranoia dei derivati subderivati da sub subderivati parecchie grandi banche sono di fatto fallite e quasi tutte sono poi state salvate dai governi. I governi hanno fatto bene e non avevano altra scelta: ai cittadini puoi dire qualsiasi cosa, che non avranno più scuole pubbliche, più sanità pubblica, più trasporti pubblici ma non puoi dire loro che domani andranno in banca e non troveranno più i loro soldi. Crollerebbe qualsiasi patto sociale.
Ciò detto, quello che è comunque accaduto è che le banche hanno bruciato i soldi non loro ma quelli di chi li aveva depositati, cioè i nostri. E poi i governi hanno ridato loro i soldi derivanti dalle tasse pagate dai cittadini, cioè i nostri. Dopo di che è entrata in vigore una norma che scarica su alcuni depositanti il rischio nel caso di crisi delle banche, per far si che i salvataggi non gravino tutti sulla finanza pubblica (costituita da soldi nostri). Per cui a certe condizioni, che non sto ad approfondire, noi i soldi per tenere in piedi le banche sciamannate non li perdiamo più dopo averli dati allo Stato ma li perdiamo direttamente per averli dati alle banche.
(Chissà perché la TAV mobilita popoli e politicanti incavolatissimi e certe cose passano come se nulla fosse).
Gli Stati che si sono dissanguati devono poi ovviamente recuperare un po’ di soldi, dal che derivano le politiche di aggravi fiscali e di austerità (ma qui entra anche il discorso dei governi, a loro volta sciamannati, che hanno cercato allegramente consenso facendo, nota bene: con il nostro consenso, debiti insostenibili – ma ne parliamo un’altra volta) che contribuiscono a deprimere l’economia, conducono al calo dei consumi e quindi alle crisi delle aziende, ai fallimenti, ai licenziamenti etc.
All’origine c’è la ben nota prevalenza dell’economia finanziaria sulla così detta economia reale, il che vuol dire, per farla facile, che operare con i soldi, per lo più inesistenti, per fare soldi rende, ormai da tempo, molto di più che produrre e vendere beni e servizi. Insomma: chi gestisce flussi di denaro (degli altri), chi si inventa titoli derivanti da titoli dietro i quali ci sono titoli e promesse spesso vertiginosamente rischiose fino alla stravaganza, è oggi molto più forte e remunerato di chi fabbrica treni o caffettiere, di chi vende elettrodomestici o pomodori; per non parlare di quelli che i pomodori, e tutto quanto produce la terra, li coltivano e li producono, i quali, pur svolgendo la funzione più fondamentale su questo pianeta, ne sono attualmente i più sfigati abitatori.
Questa situazione ha creato instabilità e di fragilità tali che si è stati quasi sull’orlo del collasso. Ebbene: state tranquilli, a parte alcuni meccanismi di maggiore protezione messi in piedi a livello politico da alcuni governi, nella sostanza strutturale nulla è cambiato. E la fragilità, direi l’autocontradditorietà con cui funziona il sistema mondiale, sono sempre lì, pronte a far riesplodere la situazione.
Questo articolino general-generico e vagamente populista vuole essere una premessa ad altri due o tre che vorrei dedicare nei prossimi giorni a temi della finanza e dell’economia che, pur sembrando lontani e complicati, ci toccano da vicinissimo nel nostro quotidiano. Per poi, come si usa dire oggi, condividerli con voi.