Una riflessione magari senza troppo significato. Non so voi, ma io ho avuto un’educazione cattolica e poi mi sono sempre sentito direi “di sinistra”. Ebbene: Cattolicesimo e sinistrese convergono nell’avversione, moralistica da un lato e etico-politica dall’altro, nei confronti del consumismo.
La Chiesa da sempre combatte l’edonismo e l’eccesso di consumismo, che fanno sbiadire i valori spirituali e conducono a un materialismo egoista (anche se poi Chiesa fa delle scelte politiche molto diverse, sostenendo chi sul consumismo ha fondato grandi carriere imprenditoriali e politiche). Mia madre, buona cattolica e persona di buon senso etico, usava l’espressione forte “insulto alla miseria” per stigmatizzare i consumi gratuiti e lussuosi e per rimproverare noi ragazzi quando compravamo o anche solo volevamo qualcosa che non serviva, per puro desiderio di averlo.
Le stanze della sinistra alternativa, con manifesti di Che Guevara, e le austere sezioni del PCI (e suoi eredi) e della CGIL erano e sono accomunate dall’ironia o dal rimprovero verso comportamenti borghesi e spendaccioni, verso ricchi scialacquatori e meno ricchi forzati delle rate.
A ben vedere però tutti i più sentiti temi del dibattito economico, sociale e politico odierno, e cioè crescita, ripresa, posti di lavoro, investimenti etc, sono tutti fondati sul vendere e comprare il superfluo. Se il consumo del superfluo si ferma, siamo perduti.
Il tutto va ovviamente considerato insieme a principi come il consumo responsabile, la compatibiltià ambientale etc, ma se l’acquisto di un golf lo rimandiamo alla prossima stagione, se per cambiare la macchina aspettiamo tempi migliori, se ai cantieri di Viareggio arriva la disdetta della commessa per la costruzione di un super yacht da milioni di euro, se perdiamo colpi sui mercati esteri, ecco la crisi dei vari settori, gli operai e le loro famiglie che scendono in strada, picchettano i cancelli, chiedono al governo di intervenire. Lo stesso vale per i viaggi in luoghi esotici e lontani, ristoranti di lusso o meno, televisori curvi, motociclette e abbigliamento trendy.
Nulla mi sembra più simbolicamente rappresentativo di due opposti modi di sentire come da un lato il discorso di Enrico Berlinguer negli anni ’70 sull’austerità come valore, come fattore caratterizzante di una società seria e solidale; dall’altro la campagna pubblicitaria voluta del governo Berlusconi, mi pare negli anni ’90, nella quale chi fa acquisti viene ringraziato dagli altri, in quanto fa girare il sistema produttivo e contribuisce al benessere collettivo.
Pur provando, come quasi tutti, fastidio per gli eccessi plateali e volgari, pur rendendomi conto dei rischi che la corsa al consumo fa correre alla psicologia collettiva, devo dire che un po’ mi viene da dare ragione alla campagna berlusconiana. La nostra società, dove pressoché tutti riescono a mangiare e dove i più hanno un livello di vita discreto, si fonda proprio sul consumo superfluo, sulla capacità e sul desiderio di spesa dei cittadini al di là della soddisfazione dei bisogni primari. Più il consumismo si attenua, più crescono i problemi sociali.