Mi è capitato di vedere qualche giorno fa su YouTube l’addio” al pubblico da parte di Massimo Giannini per la sua mancata riconferma come conduttore di Ballarò su Rai Tre, indipendentemente dal fatto che il programma prosegua o no.
Ovviamente la tesi di Giannini è quella di sempre, portata avanti con un armamentario retorico già ampiamente utilizzato da altri in situazioni simili: “siamo stati solo dalla parte del pubblico”, “abbiamo dato fastidio”, “la politica non permette questo” etc, per cui ecco che il potere cinico e baro lo licenzia, offendendo nel tempo stesso i liberi cittadini e il loro diritto all’informazione.
Può darsi che tutto ciò sia vero. Ma non si può non constatare che non c’è giornale che chiuda o rischi di chiudere (in genere, guarda un po’, per mancanza di lettori) senza che si scateni la litania contro l’attentato alla libertà di stampa, al diritto di esistere della libera stampa (sempre ovviamente mantenuta da qualcun altro che non sia il lettore). E non c’è conduttore televisivo che non conduca a vita, senza che si elevi la sua lamentazione sul potere che non tollera voci libere, che tacita i fastidiosi etc, suggerendo con ciò stesso implicitamente che qualsiasi altro giornalista che prenderà il suo posto sarà uno che non darà fastidio, che sarà grato al potere e che, insomma, si venderà per il piatto di lenticchie di una bella carriera televisiva.
Cosa che il Giannini di turno certamente non aveva fatto quando era stato chiamato a una prestigiosa conduzione di prima serata da un potere evidentemente più buono e più rispettoso della libertà di informazione di quanto non sia il potere che adesso non gli rinnova il contratto.
Quindi: se nominano me è una scelta di libertà e professionalità e di rispetto per i telespettatori. Se mi avvicendano con un altro, che sarà sicuramente una testa di legno del potere (altrimenti perché metterlo lì al posto di uno “fastidioso”?), si tratta di odiosa oppressione da parte della politica.
I conduttori televisivi italiani, non so altrove, e in special modo i giornalisti non riescono nemmeno a concepire l’idea che esistano i cambi di linea editoriale, o la più banale intenzione di rinnovare ogni tanto la programmazione o le facce.
E non riescono nemmeno a concepire l’idea di non essere poi proprio dei fenomeni. Nel caso di Giannini: essendo un buon lettore di Repubblica, l’ho sempre seguito volentieri come giornalista competente e di buona penna. Appena l’ho visto condurre Ballarò ho subito avuto l’impressione, poi confermata alla distanza, che fosse abbastanza negato per quel mestiere (andava bene come ospite, ma condurre è un’altra cosa). E la cosa non è necessariamente insultante: ricordiamo il grande, grandissimo Giorgio Bocca: forse per decenni la più bella penna del giornalismo italiano ma disastroso in tv.
Ma il vittimismo nostrano, spiace dirlo: soprattutto di sinistra, non si sofferma mai a fare considerazioni di questo tipo e ripropone graniticamente sempre lo stesso schema: sono bravo – sono libero – chi mi ha nominato lo ha fatto perché sono bravo e libero – chi non mi rinnova lo fa perché sono bravo, libero e do fastidio al potere. Amen.