Da un po’ di tempo su questo blog, su giornali e su riviste vado ripetendo una domanda: “Immigrazione, fino a quanto?”. O anche: “Accoglienti e solidali fino a quanto?” Il 13 aprile 2015 scrivevo:
“Intendo dire: accogliere fino a 7 milioni? Fino a 9,5 milioni? Fino a 21 milioni (pensiamo alla combinazione di immigrazione e demografia nel medio periodo)? L’accoglienza e la solidarietà sono valori assoluti o valgono fino a una certa cifra, valgono fino al limite di possibili collassi sociali e poi…e poi cosa?“
Nella miriade di dibattiti sul tema più sentito e a quanto pare temuto dalle popolazioni europee non ho mai constatato, salvo errore, che finora qualcuno abbia provato a rispondere. Quello che è certo è che o si stabilisce un limite o come paese occidentale, o forse anche come paese in generale, siamo finiti.
E allora, proprio in concomitanza con il 3 ottobre, l’anniversario di uno dei più terribili naufragi della storia delle migrazioni umane, provo a riproporla, in un forse ingrato sforzo di razionalità.
Riguardo a questo enorme e tragico fenomeno mi pare che l’Italia, al momento, si trovi in un vicolo cieco. E oso sperare che si sgombri il campo da cose che non c’entrano niente, prima fra tutte il razzismo: ripeterò fino allo sfinimento che cerco di parlare di fenomeni oggettivi, che non hanno nulla a che vedere col giudizio su persone, popoli e razze, su eritrei o giapponesi, su marocchini o finlandesi).
- “La rotta balcanica è chiusa”, si dichiara con stupefacente soddisfatta stupidità nella UE. I profughi siriani sono stati vergognosamente svenduti alla Turchia con un conguaglio miliardario (a proposito che ne è di loro?) e tutti i partner europei, anche i Greci poveretti, sono contenti.
- La rotta mediterranea, ovviamente, è più aperta che mai.
- Tutti si danno da fare a costruire muri e chi non può farlo, l’Italia per antonomasia, si arrangi.
- A suddividere chi arriva tra i così detti partner europei non se ne parla nemmeno. La distinzione tra richiedenti asilo e migranti economici in buona parte è pretestuosa e ridicola. Così come quella tra chi viene per lavorare (cioè il 99%) e chi viene per delinquere. Peccato poi che si delinqua perché non si trova da lavorare.
- L’onda d’urto africana, tutta nostra e che non ha nulla a che vedere con la guerra in Siria, è destinata a crescere a dismisura.
- Cresce perché i problemi africani sono epocali. Perché il business che si è sviluppato sui migranti, legale e non, è ormai enorme, da loro e da noi. Perché la Libia non è gestibile. Perché la soluzione di investire e creare migliori condizioni di vita da loro, lo sappiamo bene, è irrealistica (anche perché bisogna passare per quelle stesse classi dirigenti i cui comportamenti sono in buona misura alla base delle guerre e della miseria). In ogni caso sarebbe una goccia nel mare.
- Gli arrivi continueranno. Le capacità del paese di accogliere e assimilare tutti si esauriranno. Chiunque arrivi in una terra straniera e si trovi disperato ed emarginato inevitabilmente tende a mettere in atto comportamenti disperati o aggressivi (non per motivi razziali!!! È sempre accaduto così nella storia umana!). Le tensioni sociali aumenteranno. Il senso di insicurezza e di ansia rabbiosa delle popolazioni locali cresceranno proporzionalmente alla disperazione degli immigrati.
Nel contempo è chiaro che: sul soccorso in mare non si discute. Sul fatto di diventare un paese senza umanità, un paese che respinge e che non fa nulla se la gente muore altrettanto non si discute.
Ciò detto ripongo la domanda: “Immigrazione, fino a quanto?” Quanta è possibile gestirne senza che il paese collassi socialmente e magari anche culturalmente? Fino a 3, 5, 7, 20 milioni? E quale è la cifra raggiunta la quale non si fa più entrare nessuno? E, ammesso che sia la scelta politica (e morale) giusta, come fa un paese tutto proteso nel mare e dal quale l’Africa si tocca quasi con la mano a non far entrare più nessuno?
Io proprio non ho la più pallida idea di una risposta. Ed è inquietante che nessuno stia provando a trovarla.