Siamo arrivati ad Aleppo nel tardo pomeriggio, quando era già buio. L’anno esatto non lo ricordo, era verso la fine degli anni ’90. La visita della città sarebbe cominciata la mattina dopo ma nel paio d’ore che mancavano alla cena ci siamo messi a girare per il mercato coperto, il più grande suq al mondo, che occupa(va) il centro della città.
Abbiamo vagato per un dedalo di viuzze con ai lati un numero infinito di botteghe di artigiani e commercianti. La maggior parte erano chiuse. Ma qualcuna era aperta e qualcuna sarebbe rimasta praticamente aperta tutta la notte, perché la parte interna costituiva la piccola casa dell’artigiano o del venditore. E quindi erano ancora esposti vasi, ricami, spezie, stoffe, frutta secca.
Nel nostro giro procedevamo a caso ma comunque verso il centro del mercato. A un certo punto ci siamo trovati davanti a un arco che dava verso l’esterno, ci siamo avvicinati, abbiamo guardato fuori, abbiamo guardato in alto. E nessun racconto, nessuna guida al mondo avrebbe potuto prepararci allo spettacolo sensazionale e all’emozione mozzafiato che abbiamo provato: davanti a noi, nel mezzo di una enorme piazza ellittica, tutta circondata dalle costruzioni basse del mercato esattamente al centro della città, si ergeva una collina conica eretta artificialmente, su cui saliva una possente scala di pietra e in cima alla collina una fortezza fantastica, ellittica anch’essa dal diametro di centinaia di metri, un sogno d’oriente: la cittadella di Aleppo. Un castello in grado di accogliere 10.000 persone durante gli assedi, considerato inespugnabile fino all’arrivo dei mongoli, una delle meraviglie del mondo, patrimonio dell’umanità.
Aleppo è(ra) una delle città più antiche del mondo, una delle più belle che abbia mai visto, crocevia tra i continenti, abitata da arabi, armeni, curdi, circassi, turchi, musulmani, cristiani. Non so esattamente cosa ne sia rimasto e lo strazio è enorme.
Di fronte a tragedie cosmiche come questa siriana è quasi ignobile fare polemichette politiche. Ma devo dire che comunque dispiace che su una strage tale nessuna anima politicamente corretta e sensibile sia mai scesa in piazza, nessuno abbia gridato più di tanto, a parte alcuni sdegni quando gli americani hanno sbagliato qualche bombardamento “mirato”. Poi tutto è filato liscio in un, come si usa dire, assordante silenzio.