Negli ultimi decenni nel mondo ha trionfato l’ideologia neoliberista e oggi sembra veramente onnipotente. I suoi effetti sono senz’altro meno nefandi di quella collettivista-statalista ma comunque mi sembra che di male ne faccia lo stesso parecchio.
Una delle maggiori, e quasi maniacale, parole d’ordine dell’economia della deregulation è privatizzazioni. Non dimentichiamo che in Europa privatizzare ha un effetto notevole sul modello socio-economico sviluppatosi nel ‘900.
Privatizzare i servizi tradizionalmente erogati da istituzioni o aziende pubbliche, lo si ripete in modo ossessivo, significa concorrenza, quindi opportunità di scelta per il cittadino e quindi prezzi minori per servizi migliori. E inoltre, il che non guasterebbe, minore corruzione.
Questa scuola di pensiero dovrebbe valere soprattutto per l’Italia dove la spropositata presenza del pubblico nei servizi ha sempre significato trionfo dei partiti, spartizioni, inefficienza.
Tutto perfetto quindi. Però con qualche “ma”, qualche “ma” di peso notevolissimo.
- Spesso, e subdolamente, si è fatta una voluta confusione tra privatizzazione e concorrenza. Vale a dire: anziché creare prima le condizioni per la concorrenza e poi privatizzare l’azienda pubblica, come prima mossa si è (s)venduta l’azienda pubblica, creando così un monopolio privato, che è molto ma molto più aberrante per il cittadino e per il consumatore del monopolio pubblico.
- Negli anni del trionfo dell’economia finanziaria i privati, più o meno monopolisti, badano più che altro a massimizzare gli utili e a “creare valore per gli azionisti”, espressione elegante in managerialese che vuol dire “arricchire i proprietari”. Il tutto, tradotto in italiano corrente, significa investire poco, ridurre i costi (il che, nel 99% dei casi, significa colpire la forza lavoro), deteriorare i servizi, spezzettare le aziende per poi vendere alcuni o tutti i pezzi.
- Il controllo pubblico sugli standard dei servizi da erogare è spesso più ridicolo ancora della proprietà pubblica e la corruzione che ci sta probabilmente dietro è per lo meno pari a quella derivante dalla proprietà statale o regionale o comunale.
Ricordatevi della Telecom agnelliana, tronchettiana o colaninniana; servitevi, che so, dell’aeroporto di Fiumicino o della rete autostradale o, semplicemente, andate in banca … (i più anziani ricorderanno le banche pubbliche: erano molto più inefficienti e truffaldine delle attuali private?).
Quando poi un paese è in crisi e viene tartassato dai mercati, la soluzione-avvoltoio è la prima a volare leggera nell’etere televisivo, sui giornali etc: privatizzare, (s)vendere i beni e le società pubbliche (ovviamente quelle che vanno bene e portano utili allo Stato, se no chi se le comprerebbe?) a imprenditori e finanzieri sempre più potenti e incontrollabili che stanno lì appostati, appunto come avvoltoi, pronti a rastrellare e a lucrare sulla pelle di tanti.
Chi mi conosce sa che in economia sono un liberale, favorevole all’intrapresa privata, alla burocrazia leggera e all’allontanamento del cancro dei partiti dal mondo produttivo e dei servizi. Ma credo anche che non bisogna mai smettere di scandalizzarsi quando accadono cose scandalose con lo scandaloso consenso di molta politica e di molti media.