Ripubblico con una autocensura nel titolo e nelle righe di accompagnamento un articolo di qualche giorno fa. L’algoritmo di Facebook aveva infatti bloccato la piccola autosponsorizzazione che avevo predisposto in quanto in queste parti, come poi nel testo, compariva la parola “puttana”: LIBERTA’ DI STAMPA: QUESTA PUTTANA. Confesso che sono rimasto un po’ di sasso: in un’epoca in cui la rete è un inesauribile e incontrollato serbatoio di insulti, parolacce e simili, viene bloccato un titolo nel quale ci si limita a riferire, nel contesto di un commento credo civile, un’espressione usata da autorevoli esponenti politici della maggioranza che ci governa. Bene, prendo atto del severo moralismo elettronico e ci riprovo, ripulendo le parti incriminate. Nella speranza, che ha chiunque butti giù due righe su qualche cosa, che qualcuno in più mi legga.
Uno: sono un giornalista pubblicista. Non ho mai fatto il giornalista di mestiere ma, avendo avuto modo nella vita di scrivere molti articoli collaborando con varie testate, faccio parte dell’ordine dei giornalisti.
Due: sono un giornalista che in parecchie occasioni non è d’accordo, e quindi critica, ciò che fanno i politici. Tra i criticati ci sono anche gli esponenti del Movimento 5 Stelle.
Tre: essendo un giornalista ed essendo un giornalista spesso critico nei confronti del Movimento (quindi non appartenente alla ristretta cerchia dei giornalisti buoni e bravi), se ne deduce che sono un infame sciacallo, una puttana, un venduto, un cane da riporto e forse altro.
Quattro: Durante i processi celebrati nei paesi comunisti dell’est Europa dopo la seconda guerra mondiale si è assistito nelle aule di tribunale a scene del genere:
L’accusa: “Allora sei una puttana?”
L’imputato: “Si, sono una puttana”.
L’accusa – “Allora lo ammetti di essere una laida puttana!”
L’imputato – “Si, sono una laida puttana. Me ne vergogno e chiedo scusa al partito e al popolo”.
E altre variazioni sul tema. Quelle risposte tragiche, allucinate e allucinanti, arrivavano nell’aula dopo giorni, settimane e mesi di indicibili torture fisiche e psicologiche. L’imputato non doveva e non poteva morire con dignità, difendendo le sue idee; non poteva nemmeno semplicemente abiurare.
Doveva mostrare che i suoi torturatori e aguzzini avevano ragione da vendere, che lui si era comportato in maniera indegna contro il partito e quindi contro il popolo. Doveva dire cose vergognose di sé stesso. Non doveva essere eliminato come un semplice oppositore politico. Doveva essere umiliato e umiliarsi. Doveva perciò identificarsi con una puttana e magari anche con un infame sciacallo, un venduto al soldo dei poteri (forti?) che volevano impedire il cambiamento.
Cinque: Mi sembra che a Di Maio, Di Battista, Grillo e ai molti spiriti liberi e non venduti che li comprendono, li giustificano, a quelli che “quando ce vo’ ce vo’!” non basti attaccare gli avversari, nella fattispecie i giornalisti non allineati. C’è nelle loro parole e nel loro tono qualcosa in più: l’insofferenza ideologica e di pancia contro il libero pensiero e la libertà di stampa. C’è la voglia che chi non si estasia davanti all’epocale cambiamento portato avanti dal M5S non venga solo tacitato ma anche considerato un indegno, un subumano le cui idee sono, oltre che losche e sporche, pagate dalle cricche corrotte e antipartito.
Sei: Il tutto con una differenza rispetto all’Ungheria e alla Cecoslovacchia comuniste: lì il popolo era triste e subiva rabbioso. Oggi da noi nella sua larga maggioranza esulta e massacra l’establishment (giornalisti ben inteso e poi medici, infermieri, insegnanti di scuola, vigili urbani, ferrovieri e via dicendo, che sono magari anche elettori del M5S) sui social, nelle aule, sul “territorio”.
Sette: Non è questione di essere politically correct. E’ questione di elementare rispetto umano. Ma questo terribile utilizzo, fatto risorgere dai nostrani leader del cambiamento, del termine “puttana” per esprimere ogni forma di disprezzo è veramente vergognoso e insopportabile. Il più delle volte significa donne messe all’angolo dal degrado, dalla violenza, dalla vita.