Da quando ho memoria un feroce contrasto divide la sinistra italica quando perde (il che capita molto ma molto spesso; a livello nazionale direi quasi sempre). Politici, giornalisti, intellettuali, elettori si chiedono: perché abbiamo perso? Se lo chiedono anche di fronte ai rovesci dei socialisti francesi, socialdemocratici tedeschi, democratici radicali americani, laburisti di Corbyn. A ruota segue la domanda: cosa si deve fare per rifondare e tornare a vincere?
Le tesi contrapposte sono le seguenti: 1) Abbiamo perso perché siamo andati troppo a destra – 2) abbiamo perso perché siamo andati troppo a sinistra.
Conseguenze della tesi 1: dobbiamo recuperare i nostri valori, tornare a parlare con forza del lavoro, dei diritti sociali e civili, insomma “dire qualcosa di sinistra”. Conseguenze della tesi 2: dobbiamo conquistare il centro, rassicurare l’elettorato moderato, capire i mutamenti sociali e culturali, non lasciare alle destre la sicurezza, l’immigrazione, la retorica anti tasse.
Statisticamente non c’è partita: il successo arride alla sinistra che punta al centro, ai Mitterand, ai Blair, agli Schroeder, persino a Prodi o al messianismo di Obama e non ai radical: dal Lafontaine scissionista a Corbyn passando per i Mc Govern, i Sanders, i bersaniano-dalemiano-grassici.
E oggi in Italia in particolare sembra non esserci partita proprio sul terreno dei temi politici. Quelli della destra sembrano trionfare a livello addirittura pre-politico, a livello esistenziale, linguistico, comportamentale. Per cui la risposta “Abbiamo perso perché non siamo stati abbastanza di sinistra” sembra addirittura surreale e alla sinistra sembra restare solo la malinconica riflessione: “Quanto possiamo appiattirci sulle posizioni delle destre senza arrivare a perdere il senso della nostra stessa esistenza?”.
E tutto, sembra proprio tutto, dal canto di Bella ciao alla carità cristiana predicata da Francesco, dalla denuncia dei pasticci moscoviti dei leghisti a Saviano ogni volta che apre bocca, dalle mobilitazioni antifasciste alle Sardine (vivaci ma irrimediabilmente sul saccente, come tutti i movimenti di questo tipo): tutto, sembra proprio tutto, alimenta l’insofferenza dei più e porta acqua e voti al mulino salviniano-meloniano.
Il problema è serio e va affrontato, se possibile, tenendo ben presenti mutamenti che definire storici non è esagerato. Ma ancora una volta sembra non interessare gran che proprio molte anime belle della sinistra. Infatti per (tentare di) vincere la prima cosa da fare, prima di ogni altra, è stare uniti, come i gladiatori di Russell Crowe al centro dell’arena del Colosseo.
E invece ad alcuni capi o capetti sembra meglio ritagliarsi un proprio spazietto, creare propri movimenti-partitini, sperando che possano essere indispensabili per creare una maggioranza in parlamento, magari una qualsivoglia, in modo da ottenere posti e un po’ di potere.
E alle anime più pure, quelle del “Diciamo qualcosa di sinistra”, non cesserò mai di ripeterlo, storicamente non interessa vincere e quindi anche loro amano fare scissioni, far cadere governi progressisti e quant’altro. Pontificano che prima vengono i valori (che ormai con il popolo non hanno quasi più nulla a che fare) e sanno bene che provare sul serio a vincere e a governare significa anche “sporcarsi le mani”, significa magari anche farsi fischiare da centri sociali e studenti incavolati a priori. Vincere, in fondo, è volgare.